Chi ha assistito al bel film spagnolo «Il maestro che promise il mare» (che in patria ha vinto numerosi Premi Goya, l’equivalente dei nostri David di Donatello) ha probabilmente associato l’esperienza pedagogica narrata dal film a quella di don Milani.
In effetti anche il maestro Antoni Benaiges (protagonista della storia vera rievocata dall’opera cinematografica), a causa delle sue idee innovative, venne spedito in un remoto villaggio della regione di Burgos. Nonostante le condizioni di arretratezza economica e culturale riuscì a mettere in pratica i suoi metodi fondati sull’inclusione e la partecipazione attiva degli scolari all’attività didattica, senza distinzioni di sesso o di classe sociale. Ma le analogie con la scuola di Barbiana si fermano qui. La realtà spagnola degli anni ’30 era molto diversa da quella italiana degli anni ’60 del secolo scorso, pur essendo entrambe caratterizzate da pratiche pedagogiche generalmente in ritardo rispetto al resto del continente.
In Spagna l’insegnamento era storicamente monopolio del clero e la chiesa spagnola aveva delle posizioni particolarmente reazionarie e oscurantiste. L’insegnamento si basava sui principi di Dio, Patria (Re ed Esercito) e famiglia. Gli scolari che avevano difficoltà di apprendimento venivano «corretti» attraverso il senso di colpa e le punizioni (spesso corporali).
Per scardinare questa situazione nacque nel 1876 la Institución Libre de Enseñanza (ILE) a cui aderirono i maggiori esponenti della intellighenzia laica spagnola, collegandosi a idee e personalità estere del mondo scientifico, positivista e razionalista del periodo.
La ILE riuscì a estendersi in tutti gli ordini e gradi dell’istituzione spagnola, che divenne così un terreno di battaglia tra laici progressisti e il clero, che rappresentava i settori più reazionari della società spagnola. Antoni Benaiges aveva alcuni parenti che avevano aderito all’ILE. Inoltre Benaiges si era radicalizzato diventando, alla vigilia della guerra civile spagnola, ateo e socialista. La sua storia è stata «recuperata» e resa nota solo negli ultimi anni.
Il pedagogo spagnolo più conosciuto all’inizio del XX secolo era invece Francisco Ferrer Y Guardia. Le analogie con Benaiges sono evidenti: entrambi provenivano dall’ambiente dell’ILE ed erano catalani (la regione più moderna della Spagna di quel periodo). Ma Ferrer si era spinto ancora oltre: nel 1901 aveva fondato a Barcellona la prima «Escuela Moderna» su principi razionalisti, scientifici e antiautoritari.
Siccome era anarchico il fine del suo insegnamento era quello di dare ai suoi allievi la possibilità di diventare delle persone libere, in grado di autodeterminarsi e fare le proprie scelte con la massima autonomia fin dall’infanzia, persino divergendo dalle opinioni dell’educatore.
Per il clero Ferrer costituiva uno nemico da annientare, tanto più che le scuole moderne si stavano estendendo. Inoltre all’estero Ferrer era conosciuto e stimato per i suoi metodi e le sue idee assolutamente innovative e rivoluzionarie.
Nel 1909 il primo ministro conservatore Antonio Maura e il Re Alfonso XIII volevano estendere i loro progetti coloniali in Marocco e così avevano richiamato alle armi numerosi riservisti, appartenenti alla classe operaia. A Barcellona i riservisti erano in gran parte di sinistra e contro il colonialismo, perciò si ribellarono.
Scoppiò così la «settimana tragica», consistente in scioperi e violenti tumulti insurrezionali, antimilitaristi e anticlericali che si risolsero con una sanguinosa repressione.
Il clero ne approfittò per accusare Ferrer di essere tra gli organizzatori e il tribunale militare, senza la minima prova, lo condannò a morte.
Nonostante numerose manifestazioni all’estero che coinvolsero anche forze di sinistra non anarchiche e la mobilitazione di numerose personalità della cultura e dell’istruzione, Ferrer venne fucilato nella famigerata Fortezza di Montjuich a Barcellona, il 12 ottobre 1909, quasi un mese e mezzo dopo l’arresto.
Naturalmente anche in Italia, prima e dopo l’esecuzione di Ferrer si ebbero manifestazioni e moti anche violenti, soprattutto nelle regioni centrali (Toscana, Romagna, Marche…) dove era forte la presenza anarchica, ma a cui parteciparono anche socialisti (tra cui Benito Mussolini) e repubblicani. Dopo la morte di Ferrer, in Europa e in Italia sorsero numerose scuole moderne, di cui una anche a Bologna: grazie al pedagogista catalano, l’educazionismo era divenuto un pilastro del movimento libertario internazionale.
A Imola non ci furono grandi tumulti: il Partito Socialista guidava il comune ed era su posizioni fortemente anticlericali, ovvio retaggio della storia locale e del pensiero di Andrea Costa (che era ancora vivente): già nel novembre 1909 il consiglio comunale intitolò Piazza Duomo a Francisco Ferrer. Tale atto accontentò le sinistre e mandò su tutte le furie il capitolo della cattedrale, che fece inutilmente ricorso al Prefetto e al Re (1).
Tutte queste vicende finirono male. Quella umana di Ferrer, ma anche quella del maestro Benaiges, che si trovava nella regione sbagliata al momento sbagliato: a Burgos il golpe di Francisco Franco del luglio 1936 riuscì perfettamente, tanto che l’antica capitale della Spagna divenne la capitale del franchismo durante la guerra civile.
A Imola i fascisti, appena preso il potere nel 1921, cambiarono il nome della piazza Ferrer in «Piazza Edgardo Gardi», intitolandola così a un impiegato della Camera Agraria rimasto incidentalmente ucciso in una sparatoria avvenuta poco tempo prima in una birreria: la morte fu provocata da un proiettile vagante esploso durante un agguato fascista all’anarchico Primo Bassi, che fu considerato l’omicida (senza prove) mentre Gardi venne assurto a martire fascista. Nel 1931, dopo la firma dei Patti Lateranensi tra Mussolini e la Chiesa Cattolica, la piazza Duomo riacquistò il suo nome primitivo. La ILE spagnola venne soppressa da Franco alla fine della guerra civile nel 1939.
Tuttavia la ricerca storica rinnova una memoria che sembrava sopita e ci aiuta a rivalutare l’importanza di uomini che, sconfitti durante la loro vita, furono e restano un riferimento per una civiltà laica e progressista.
(1) Le notizie sulla «battaglia toponomastica» intorno al Duomo di Imola sono tratte da A. Ferri, L. Vivoli, Passato Prossimo. Storia dei nomi e delle vie di Imola, La Mandragora, 2002.
(Roberto Zani)