Imola. “E’ mi bastèrd, cum stet?” (il mio bambino, come stai?). Con queste parole Rino mi apostrofava nelle, purtroppo, ormai rare volte che ci si incontrava. Era un modo di dire talmente affettuoso, seguito da  quel bellissimo sorriso, che era quasi commovente.

Salvatore “Rino” Cavini

E poi giù a parlare delle “nostre” cose. Una sinistra che non c’era più, i valori “di una volta” che bisognava continuare a fare vivere, l’impegno che non doveva mai mancare, perché “us’la insignè e partigian” (ce lo ha insegnato il partigiano). Era così che Rino chiamava mio babbo Battista, con il quale aveva condiviso amicizia, impegno politico e sindacale, con una stima reciproca che non era mai venuta meno.

Quella stessa stima che poi aveva riversato su di me perché, diceva, “buon sangue non mente”.

Ho dei dubbi che noi siamo stati all’altezza dei nostri padri, e chissà se saremo capaci di fare i genitori come l’hanno fatto loro fino alla fine dei giorni che ci saranno concessi.

Comunque quella stima mi faceva piacere. Come mi piaceva quella voglia di salutarti che si portava sempre dietro, Quante volte è capitato in una festa, in una sagra o in giro per la città sentirmi chiamare. Mi giravo ed era lui, Rino. Quando ti vedeva era un imperativo non andarsene prima di averti salutato.

Di Rino resta la grande forza interiore, il grande impegno che ha messo in tutte le cose della vita, la coerenza e l’attaccamento ai valori della sinistra e dell’antifascismo, ma soprattutto, nel mio ricordo resterà quel sorriso che mi regalava ogni volta che ci incontravamo: “At salut bastèrd, stam bè”.

(Valerio Zanotti)