Donald Trump torna alla Casa Bianca, ma questa volta con un mandato più ampio e un controllo ancora più solido sulle leve del potere americano. Il dato più eclatante è il sorpasso nel voto popolare, un ribaltamento simbolico che sancisce la definitiva rottura con il passato e il consolidamento di una coalizione sociale capace di catturare i malcontenti diffusi della nazione.
Se i risultati saranno confermati, Trump avrà portato i repubblicani a una vittoria storica: oltre alla presidenza, il GOP sarebbe riuscito a riconquistare la maggioranza sia al Congresso sia al Senato. Una situazione non così frequente, che potrebbe mettere a dura prova il sistema di “pesi e contrappesi” che ha da sempre preservato l’equilibrio della democrazia americana.
Inoltre occorre considerare che ormai il vecchio Partito Repubblicano non esiste più: ora c’è il partito dei fedeli a Trump, con tutti i rischi del caso.
Un Congresso e un Senato entrambi a maggioranza repubblicana renderebbero l’amministrazione Trump particolarmente libera di muoversi, con scarsi contrappesi politici (anche la Corte Suprema pende da quella parte) e con un margine di azione potenzialmente ampio, un fatto che suscita gravi preoccupazioni per una deriva autoritaria.
Kamala Harris è entrata in corsa a luglio, con un’immagine di “discontinuità nella continuità” rispetto all’amministrazione Biden. Harris ha cercato di interpretare il ruolo di una leader capace di dare stabilità al Paese, in grado di portare avanti le buone azioni dell’amministrazione uscente e, al contempo, di differenziarsene.
Harris non è riuscita a comunicare un messaggio di sicurezza, protezione e prospettiva. La sua campagna è stata percepita come distante, elitaria, con testimonial prevalentemente provenienti dal mondo di Hollywood e dei personaggi dello spettacolo, che appare inaffidabile agli occhi di molti americani, a causa delle difficoltà della loro vita quotidiana.
Centrale nella vittoria di Trump è stato il sostegno di Elon Musk e della sua piattaforma X (ex Twitter), che si è schierata apertamente dalla parte dei repubblicani, diventando un mezzo potente e influente.
L’agenda del nuovo governo sembra già delineata: una visione protezionista e isolazionista, con una marcata guerra culturale contro il pensiero liberal e la promessa di ridurre l’interventismo americano nel mondo, in favore di una politica che guardi maggiormente agli interessi interni.
Le incognite restano molte e non mancano i timori per una possibile deriva autoritaria. L’ala più radicale, rappresentata dal Project 2025, propone infatti un cambio netto e drastico nei meccanismi istituzionali, con la sostituzione di migliaia di dirigenti federali con uomini vicini al presidente e un irrigidimento delle politiche sull’immigrazione.
L’America chiede stabilità, protezione e identità, e Trump ha saputo offrirle, seppur in una chiave divisiva e controversa. “Mettiamo Liz Cheney davanti a dieci uomini armati”, “A Harris e Biden non spara mai nessuno?”: non proprio le affermazioni di uno statista.
Per l’Europa è arrivato il momento di fare un salto di qualità, di cambiare passo e diventare ‘grande’.
(Tiziano Conti)