Federico Serra è il terzo candidato presidente alle prossime elezioni regionali in Emilia-Romagna, sostenuto dalla lista “Emilia Romagna per la pace, l’ambiente e il lavoro” formata da esponenti di Potere al Popolo, Rifondazione Comunista e Partito Comunista Italiano e presente in tutte le nove circoscrizioni della Regione.
Federico Serra è collegato alla lista Emilia Romagna per la pace, l’ambiente e il lavoro. La lista è presente in tutte le nove circoscrizioni della Regione.
In Emilia Romagna le aree potenzialmente allagabili raggiungono il 45,6% dell’intero territorio regionale e la popolazione esposta supera il 60%”. Il 14,6% del territorio dell’Emilia-Romagna è classificato a pericolosità elevata e molto elevata per rischio frane. Se questi dati sono veri non ritiene riduttiva una discussione e le tante polemiche su ciò che è successo (o non è successo) dal 2023 ad oggi?
“Proprio perché il nostro territorio è fatto così, è inaccettabile aver portato avanti i progetti avviati prima del disastro del 2023. Si continua a costruire in terreni alluvionali, a rendere impermeabili i terreni col cemento, a sviluppare una logistica che poi produce lavoro sottopagato e pericoloso. Non esistono bacchette magiche, ma quello che è stato fatto (o no) dal 2023 è conseguenza delle scelte fatte per decenni dal sistema Pd, a partire dalla legge regionale sull’urbanistica”.
Cosa non è stato fatto negli anni e cosa propone lei per il futuro per mettere in sicurezza il territorio e garantire a quei cittadini che sono finiti sott’acqua già diverse volte che non succederà più?
“Non c’è la bacchetta magica, ma bisogna cominciare un piano straordinario di lavori pubblici per mettere in sicurezza i corsi d’acqua, desigillare i terreni, sostenere e coordinare il lavoro di manutenzione che fanno gli agricoltori. Per far questo servono risorse e persone, tecnici e operai, quindi serve lavoro dignitoso e stabile”.
Non ritiene che la scelta del Generale Figliuolo come Commissario straordinario abbia rallentato il percorso post alluvione? Se capitasse a lei in un futuro da presidente della regione di subire una tale scelta come la prenderebbe?
“La scelta di un generale che non sa nulla del territorio è stata la coronazione dell’atteggiamento del governo nazionale che di fatto ha lasciato che la Romagna si ripulisse da sola con le braccia di migliaia di volontarie e volontari senza mettere in campo il genio militare. E dall’altra parte abbiamo avuto anche amministrazioni locali ostili a questo lavoro volontario, basta ricordare che poi Gianfranco Santini e Marta Collot si sono presi delle condanne penali per avere srotolato uno striscione in piazza a Ravenna con cui si chiedeva dov’era lo Stato.
Nell’intervento pubblico per la messa in sicurezza serve anche la creazione di figure pubbliche pubbliche competenti che possano coordinare gli sforzi di ricostruzione dopo eventi del genere”.
Non ritiene che certe scelte a livello nazionale, ad esempio quella del Ponte sullo Stretto, potrebbero essere rinviate per utilizzare le risorse per la manutenzione dei territori?
“Assolutamente si! Ci sono miliardi di soldi pubblici stanziati per opere che non verranno mai realizzate, come il Ponte sullo Stretto o la Tav Torino-Lione, o che sono comunque dannosi come il Passante di Bologna o il rigassificatore di Ravenna”.
Quale giudizio dà dello stato della sanità pubblica in Emilia Romagna rispetto alle altre regioni e perché? Come vede la convivenza tra sanità pubblica e privata?
“Il sistema sanitario in Regione regge ancora sulle impostazioni date quando era all’avanguardia del sistema sanitario nazionale pubblico. Oggi però ci sono sempre più settori, pensiamo alla salute riproduttiva o quella mentale, che vanno sempre più in mano ai privati. E abbiamo visto durante il 2020 come strutture private pensate per fare profitto su settori specifici, attenzione al comparto estetico, non siano adeguate a coprire le esigenze della sanità pubblica.
In più dilaga il precariato anche tran chi lavora nella sanità, una vera e propria contraddizione: da una parte vengono formate meno persone di quelle di cui c’è bisogno, dall’altra Chi è già formato, specie in settori come quello infermieristico o dell’emergenza, vive condizioni di lavoro insostenibili fatti di turni massacranti per via del sottorganico e salari bassi”.
E’ d’accordo con la scelta del governo Meloni di confermare per la sanità gli stessi fondi di quest’anno anche per il prossimo anno? E quale sarà la sua ricetta per affrontare i problemi che sta vivendo oggi la sanità pubblica a cominciare dalle liste di attesa?
“Ovviamente, bisognerebbe aumentare i fondi, magari cominciando a prenderli dai soldi spesi per inviare armi nella guerra in Ucraina o per garantire le strutture militari della Nato che sono anche in Emilia Romagna, come ricordano bene a Casalecchio per la strage del Salvemini.
Bisogna lavorare per eliminare gli imbuti della formazione, e secondo noi bisogna puntare a ribaltare le percentuali di servizio presso il pubblico e l’intramoenia. Non è possibile che per la stessa visita, per la stessa prestazione, i tempi di attesa sono lunghissimi nel pubblico e brevi per chi può pagare. La salute è un diritto a prescindere dalla capacità di spesa di una famiglia”.
La scuola pubblica deve avere una funzione prioritaria rispetto a quella privata oppure no?
“Certo, anche questo è un campo in cui l’Emilia Romagna in passato è stata all’avanguardia ma ora è impegnata nello smantellamento. Pensiamo a tutti i progetti di scuole superiori strettamente legate alle necessità immediate di Confindustria.
E soprattutto anche nella scuola ritorna la grande precarietà, con persone formate che lavorano per anni e anni col sistema iper precario delle chiamate e adesso si trovano anche con l’ennesimo gradino di formazione, la cosiddetta riforma dei 60 cfu, per cui bisogna pagare per accedere all’insegnamento. I primi due punti per la scuola pubblica sono stabilizzare chi lavora e ascoltare le comunità studentesche che da anni segnalano l’insopportabilità della situazione attuale, a partire dall’alternanza scuola-lavoro e dalla mancanza di educazione affettiva”.
L’Emilia Romagna deve gran parte delle sue fortune economiche a una miriade di medie e piccole imprese che rappresenta oltre il 90% del tessuto economico regionale. Un mondo che oggi fatica a stare al passo e che lamenta una grande difficoltà a trovare manodopera qualificata. Quali sono le sue proposte per l’economia regionale e quali le politiche sul mercato del lavoro e formazione?
“In questi anni il patto per il lavoro firmato da Bonaccini, i sindacati concertativi e le associazioni padronali non ha prodotto una tenuta, anzi c’è un arretramento dell’Industria meccanica, con chiusure, delocalizzazioni, soprattutto nei territori più periferici. Tiene la via Emilia, si fa il deserto in Appennino. È il nuovo lavoro che si produce è spesso in un settore come la logistica che ha aperto le porte della Regione al cemento e al malaffare, in cambio di lavori pericolosi e sottopagati. Per non parlare del lavoro precario in tutto il comparto turistico e ristorazione. Anche qui bisogna ripartire da una mano pubblica che indirizzi gli investimenti, le università del territorio non dovrebbero essere degli incubatori di start up, ma degli hub della pianificazione”.
Che voto dà e perché agli anni nei quali la Regione è stata governata da Stefano Bonaccini?
“Insufficiente, infatti ci candidiamo in alternativa netta a questa esperienza. Il fatto che dopo un exploit di voti sia Bonaccini sia Schlein siano andati verso incarichi nazionali ed europei la dice lunga sull’assunzione di responsabilità di un sistema Pd che mostra sempre più la corda”.
In sintesi, tre motivi per cui un cittadino dovrebbe votare per lei.
Tre motivi secchi: 1) alternatività totale al sistema Pd che produce cemento e lacoro povero, vogliamo il salario minimo 10 euro/ ora immediatamente negli appalti pubblici. 2) candidature che rappresentano le fasce sociali che ogni giorno portano avanti questa regione lavorando, canto nel privato quanto nel pubblico, studiando, e che hanno sempre meno futuro. 3) schierare fortemente questa regione contro lo scivolamento verso la guerra, contro le installazioni militari sul nostro suolo, contro le complicità col genocidio in corso in Palestina.