Disarmiamo il patriarcato. Ricorro allo slogan principale della manifestazione di sabato a Roma perché se il patriarcato va disarmato, esiste. Non lo dicono le femministe e le decine di Associazioni che hanno risposto alla chiamata di Non una di meno e non è una ideologia femminista. Le donne hanno preso atto da tempo e si ribellano a un sistema millenario.
Come ricordano le filosofe Adriana Cavarero e Olivia Guaraldo in un loro interessantissimo saggio recentemente uscito, il patriarcato “è una categoria di pensiero in ambito antropologico il cui scopo è indicare sinteticamente un tipo di cultura e di società in cui gli uomini riservano a se stessi le posizioni di potere relegando a un ruolo subalterno le donne”.
Agli uomini lo spazio pubblico (lavoro e potere) , alle donne lo spazio privato (famiglia e cura). Le lotte delle donne nei decenni lo hanno costretto a un adattamento ma questo non ne cambia origine e natura.
Come precisa bene Ida Dominjanni, filosofa e giornalista, in un articolo del novembre 2023 : “parliamo di una struttura simbolica incentrata sul privilegio del sesso maschile che è Transculturale ( cioè radicata nelle culture) , trasversale (né di destra né di sinistra), Trans-storica (cioè resistente al cambiamento d’epoca). Il ché non significa però che sia dappertutto uguale né che sia immodificabile o invincibile”.
Riprendendo Cavarero e Guaraldo, “la cultura patriarcale , nelle sue diverse manifestazioni storiche e articolazioni (…) è caratterizzata da un ordine simbolico nel quale il fatto della differenza sessuale viene significato come naturale superiorità, preminenza, predominio degli uomini sulle donne o, come anche si dice, del sesso forte sul sesso debole, del primo sesso sul secondo sesso”.
Lo slogan “Dio, Patria, famiglia” ne è una espressione paradigmatica. Cita tre autorità indiscutibili, per chi lo sostiene come, appunto, paradigma di una visione che ispira le politiche che lo traducono del Governo Meloni.
Negli anni ’70 del secolo scorso le femministe dissero che il patriarcato era finito. Una frase che non significava la fine della sua cultura fondativa ma che le lotte per l’ampliamento e il riconoscimento dei diritti civili ne mettevano in discussione i principi strutturali. In questo risiede il significato eversivo delle parole delle donne sintetizzato nella frase di Murgia esposta in questi giorni nella sede ASP di Imola.
Le donne hanno iniziato dunque a dire “NO” alla condizione subalterna che quei principi sanciscono e alle discriminazioni conseguenti. Il patriarcato risponde con la violenza ai diritti ottenuti in anni e anni di lotte. Un cammino che ha prodotto conoscenze e saperi inediti, nuove consapevolezza identitaria. Scrive Sandro Bellassai nel suo libro “La mascolinità contemporanea” citato da Lea Melandri: “L’uomo, – il maschio è quasi scomparso, l’Uomo- l’essere umano- ha invaso tutta la scena. Sovrapponendosi i due termini (allo scopo di mantenere agli uomini il primato) il maschile si nasconde dietro l’universale, o meglio, “si traveste da universale (…) la parzialità maschile scompare, in apparenza, nella solennità di una voce da unità di misura del mondo umano;il femminile è invece differenza, parzialità, genere, alterità, specificità. L’uomo è norma, la donna eccezione (…) gli uomini sono incapaci di vedere la propria identità di genere”.
Nei Paesi democratici le donne vengono uccise e subiscono violenza non perché prive di diritti ma perché ne hanno di più che nel passato e che altrove. In altri Paesi regimi autoritari e teocratici reprimono le donne e legittimano la violenza su di loro fino alla morte se chiedono diritti o violano regole repressive. Due facce dello stesso patriarcato. Per questo sosteniamo che la violenza è sistemica e non un’ emergenza. Lo diciamo da anni. Considerarla tale ne fa un tema di sicurezza, di ordine pubblico e la circoscrive all’ambito penale e criminologico. Che il patriarcato sia fondato sul dominio lo vediamo chiaro nel mondo contemporaneo.
Le decine di guerre in corso, lo sfruttamento dell’ambiente, la violenza di genere, lo spirito competitivo diffuso ovunque per la scalata al potere. Non a caso la manifestazione sabato a Roma ha messo in evidenza critica le politiche del Governo Meloni. Taglio delle risorse sul Welfare e sanità significano riduzione degli spazi di conciliazione con il lavoro di cura (assegnato per lo più alle donne), quindi meno lavoro e quando c’è, spesso part-time e/o meno retribuito, meno reddito, meno autonomia , meno libertà.
Il teorema è chiaro e conduce dritto alle possibilità di contrasto e di eliminazione della violenza sulle donne. Nelle maglie del teorema agiscono la violenza economica e psicologica, si ridimensionano aspirazioni, si mortificano capacità e personalità femminili. Insomma si ripropongono le coordinate della concezione patriarcale.
Valditara con la sua dichiarazione che fa risalire la fine del patriarcato alla riforma del diritto di famiglia, confonde la patria potestà fino ad allora riconosciuta solo agli uomini, col patriarcato. In pratica confonde il cedimento di un pezzetto di potere col dominio millenario che ancora è riconoscibile nella condizione di disparità fra i sessi. Non meno ignoranza si riscontra nelle parole del filosofo Cacciari condivise da Travaglio con cui si associa al Romanticismo la fine del patriarcato. Gli uomini che agiscono la violenza sulle donne compiono un atto autodistruttivo. Diversi di loro scelgono, in seguito, il suicidio. Senza la compagna , la moglie, la fidanzata che decidono di lasciarli non possono vivere (frasi spesso pronunciate dai maschi violenti per giustificare i loro gesti e comportamenti). Ma non è questa la conferma di non saper rinunciare a un possesso e con questo a un dominio? Non è una indiretta e chiara colpevolizzazione (legittimata dal sistema) delle donne che rompono una famiglia (sacra) esistente o potenziale?
Il patriarcato fa male alle donne ma anche agli uomini e come qualcuna ha scritto sui social “un uomo vede il patriarcato se si mette in causa come uomo”. Se accadesse sarebbe un bel passo avanti oltre la solidarietà e la testimonianza pur sempre apprezzabili e positive.
(Virna Gioiellieri)