Prepariamoci, la nuova amministrazione Trump è in arrivo: a partire dal 20 gennaio avrà in mano buona parte dei destini del mondo.
Quando giurò per la prima volta a Washington da presidente, il 20 gennaio del 2017, Donald Trump portava con sé una sostanziale differenza con i suoi precursori alla Casa Bianca: era il solo a non aver mai fatto politica, eletto a qualche carica o nelle istituzioni o aver servito nelle forme armate (ricevette quattro cartoline precetto per il Vietnam, che respinse per motivi di salute). Rieletto, Trump ha ora l’esperienza politica che gli mancava nel 2017 e vuole intorno a sé, nell’amministrazione, solo fedelissimi alla sua causa.
I nomi del governo Trump II, quindi, hanno più a che fare con la produzione di un talk show televisivo in cui i conduttori, per far chiasso e audience, invitano ospiti rumorosi, decisi a litigare ad ogni inquadratura, che con la guida di una superpotenza.
Il più inaspettato è il nome proposto come ministro della Giustizia, Matt Gaetz, deputato talmente estremista e sfacciato da esser detestato dai suoi colleghi, maggioranza ed opposizione, fino a un processo in Commissione Etica per reati su traffico di donne e altri illeciti. Ora si appresta a diventare Procuratore Generale, capo della Giustizia Usa, con due mandati precisi: liberare Trump dalle inchieste in corso contro di lui e rendere la vita difficile a tutti coloro che hanno indagato contro il presidente.
Altrettanto di rottura la scelta di Pete Hegseth. Ministro della Difesa, un passato nell’esercito, capitano in Iraq e Afghanistan, dovrà portare a compimento la richiesta di Trump che vuole creare una commissione speciale, senza precedenti, per licenziare generali e ammiragli che considera di sinistra, insieme a regole nuove per far approvare ogni nomina che il Senato (pur a maggioranza repubblicana) intenda bloccare o rallentare.
La nuova capo dell’intelligence, Tulsi Gabbard, ufficiale della riserva dell’esercito, non è molto esperta di spionaggio e guerra ibrida se non che per lei Putin è un possibile alleato fedele; il capo della revisione della spesa, Elon Musk, vuole tagliare duemila miliardi dal bilancio federale, malgrado l’importo possa azzerare Difesa, Istruzione, Esteri, mettendo a rischio le pensioni; Mike Waltz sembra inesperto per il posto di Consigliere per la Sicurezza Nazionale che fu occupato da Kissinger e Brzezinski; l’ex governatrice del South Dakota Kristi Noem, capo dell’Ufficio difesa nazionale nato dopo gli attacchi dell’11 settembre, è nota solo per avere ucciso il proprio cane per punizione a fucilate; l’ambasciatrice Onu Elise Stefanik deve la sua fama alle requisitorie, in diretta tv, contro le rettrici degli atenei americani più importanti, un paio costrette dalle sue domande alle dimissioni, non un curriculum tipico per il Palazzo di Vetro.
Diverso il caso del Segretario di Stato Marco Rubio, senatore della Florida che, dopo avere definito Trump “una disgrazia per il partito che fu di Reagan”, come il vicepresidente J.D. Vance che dichiarava “Trump è il nuovo Hitler”, è andato a Canossa venendo premiato con il ministero degli Esteri. Rubio sarà, almeno sulla carta, duro con la Cina, aspro con gli europei, ma ha stoffa per crescere e avviare trattative su dazi e tensioni militari.
La strategia è fare terra bruciata: benvenuti negli Stati Uniti di Donald Trump.
(Tiziano Conti)
Elise Stefanik (neo ambasciatrice Onu) con Donald Trump, foto Wikipedia di Office of Congresswoman Elise Stefanik