Questa è la prima di una serie di interviste che vedono come protagonisti i legali che collaborano con la Fiom di Bologna. E’ importante che i lavoratori sappiano chi sono gli avvocati che della Fiom, quali sono le loro motivazioni, e perché la Fiom si affida a loro quando è necessaria una difesa legale di qualità.

E’ una questione di trasparenza, ma è anche una questione di orgoglio di organizzazione, perché, bisogna pur dirlo: i nostri legali sono molto bravi. Oggi intervistiamo una delle colonne del nostro ufficio tutela, l’avvocato Alberto Piccinini dello Studio Legale Associato di Bologna, sarà l’occasione per ripercorrere un pezzo importante della nostra storia, ma anche per riflettere sulle prossime sfide che ci attendono.

Quando inizia la tua collaborazione con la Fiom e con la Cgil?
“Inizia molto presto. Avevo da poco compiuto ventiquattro anni e mi ero appena laureato, nel marzo del 1977 (mese politicamente caldo, per Bologna…), e così ho pensato bene di bussare alla porta della Cgil dove avevano aperto da un paio d’anni un Ufficio Vertenze-Legale sperimentale, con avvocati-funzionari che intendevano fare della professione una forma di militanza sindacale. C’erano alcuni giovani professori universitari/avvocati (Piergiovanni Alleva, Domenico Borghesi, all’inizio anche Luigi Stortoni, per un breve periodo Franco Carinci) e qualche avvocato, “diretti” da un sindacalista, all’epoca Gianni Cavicchi. Si cercava di portare avanti una vera e propria “politica del diritto”, facendo consulenza a sindacalisti e lavoratori e promuovendo cause. Qualche anno dopo vi fu una mezza “scissione” da parte della Fiom (allora Flm) che preferì avere un proprio autonomo Ufficio di Consulenza, che fu affidato a due professori, Luigi Mariucci e Stefania Scarponi.”

Com’eri a 24 anni?
“Avevo i capelli lunghi e venivo dal movimento studentesco, puoi immaginare.”

E cosa accadde all’Ufficio vertenze-legale della Cgil?
“Non si è sviluppato più di tanto, anche perché l’idea di figure di avvocati-sindacalisti non risultava compatibile con un Regio Decreto Legge che risale al 1933, secondo cui chi esercita la professione di avvocato non può essere lavoratore dipendente, salvo che per alcuni specifici Enti pubblici.”

Era la Bologna degli anni ‘70, una città in grande fermento, ma anche attraversata da fatti tragici come quelli che portarono alla morte dello studente Francesco Lo Russo. Che ricordi hai di quei giorni, e com’era il rapporto con la Cgil?
“Ricordo molto bene quei giorni drammatici del 1977, in particolare quelli che seguirono l’omicidio dello studente Francesco Lo Russo. Furono giorni di grande rabbia e confusione: cortei per le vie della città, vetrine rotte, l’occupazione di tutte le Facoltà, un ristorante di Piazza Verdi saccheggiato, i blindati nella zona universitaria a Bologna. Nei mesi successivi, poi, vi erano continuamente assemblee di movimento, e il funzionario dell’Ufficio Vertenze mi chiedeva di parteciparvi in mia compagnia. Credevo che fosse davvero interessato ad entrare in contatto con il mondo studentesco, ma scoprii più tardi che, dopo le assemblee, Cavicchi andava a relazionare alla Segreteria della Cgil. Mi portava anche nelle assemblee operaie, e dato che io ero giovane e un po’ estremista, mi utilizzava per accattivarsi il consenso e le simpatie dei giovani operai. In quella fase sono stato anche, inconsapevolmente, sfruttato per il mio aspetto. Ma per la mia crescita è stato utile essere in qualche modo “in mezzo” a due mondi che si guardavano con sospetto; insomma, il rapporto tra sindacato e movimento non era del tutto lineare. C’era vicinanza, ma anche diffidenza reciproca, e non sono mancati momenti di tensione.”

Che cosa ti ha spinto a diventare un avvocato del lavoro?
“Preferisco dire avvocato dei lavoratori, perché davvero quando difendo un lavoratore mi immedesimo, e faccio tutto il possibile per tutelarlo al meglio. È stata una mia scelta fin dall’esame di diritto del lavoro, fatto con il giovane Prof. Pedrazzoli, completata con la laurea in diritto sindacale. Sono nato ad Ancona, mio padre era un avvocato democristiano e probabilmente, anche se non me lo ha mai chiesto espressamente, confidava che finissi nel suo Studio. Io presi al volo l’opportunità che mi era stata offerta da Alleva di essere suo praticante all’interno dell’Ufficio Vertenze-Legale, per abbandonare la mia città natale, con prospettive di carriera all’ombra di un padre ingombrante, e sposare Bologna, con un futuro tutto da inventare.”

Dopo la Cgil sono arrivati i metalmeccanici della Fiom.

“Esatto. La Fiom di Bologna, come ho detto, si è presto voluta distinguere per avere un proprio Ufficio vertenze autonomo che per molto tempo è stato di pura consulenza, per cui il contenzioso giudiziario finiva ugualmente nell’Ufficio Vertenze-legale confederale. Lo Studio, nel corso degli anni, si è caratterizzato da una più marcata autonomia rispetto alla struttura sindacale, che si è poi trasformata in Centro Diritti, diretto da un giovane funzionario laureato in Legge, Valerio Cerritelli, che ha anche contribuito a fondare Piazza Grande. Quando poi Valerio è entrato nel nostro Studio Associato, le funzioni del Centro Diritti sono state in parte assimilate da noi, restando immutato il rapporto fiduciario con la Cgil. Anzi, considerando che la Camera del Lavoro di Bologna è una delle poche in Italia priva di un Ufficio Vertenze confederale, amo credere che l’attuale Studio Legale Associato possa in qualche modo considerarsi la naturare evoluzione di quell’Ufficio della Cgil in cui ho messo piede quasi 50 anni fa.   Sul fronte Fiom, con l’arrivo di Franco Focareta, che oltre ad essere professore è anche avvocato, le cause che prima erano di nostra esclusiva pertinenza, sono state distribuite tra lui e lo Studio Associato, di cui fa parte Stefania Mangione. Franco, Stefania ed io siamo anche membri della Consulta giuridica nazionale della Fiom.”

Quali sono state le battaglie legali più importanti che ti hanno coinvolto in prima persona?
“Se per importanti intendi battaglie di livello nazionale debbo necessariamente citare la vertenza Fiat, quando cioè la casa torinese guidata da Marchionne disdettò il Contratto Nazionale per adottare un proprio Contratto Specifico. È stata una lunga e intensa stagione di contenziosi giudiziari che ha portato a una sessantina di cause di denuncia per condotta antisindacale nel biennio 2011/2012. Tutta la storia di quella battaglia giudiziaria, a partire dai licenziamenti dei tre operai di Melfi, è ricordata in un articolo che è ancora nell’archivio della Fiom nazionale”: https://www.fiom-cgil.it/net/attachments/article/289/ANNI%20DIECI-aprile2014.pdf

Come si sono risolte queste cause contro la Fiat?
“Direi che si sono risolte molto positivamente. Ad esempio, proprio su nostra sollecitazione la Corte Costituzionale ha cambiato l’articolo 19 della Statuto dei Lavoratori, prevedendo che non potessero essere escluse dalle Rsa (Rappresentanze Sindacali Aziendali) le organizzazioni sindacali che, pur non avendo firmato dei contratti collettivi, avevano comunque partecipato alle trattative. Era esattamente quello che era successo in Fiat con la Fiom esclusa da tutto per non aver firmato il Contratto Specifico, ma la Corte Costituzionale ci ha dato ragione.”

E per quanto riguarda la situazione locale?
“Questo territorio ha alcune particolarità molto interessanti. Innanzitutto, parliamo di una realtà industriale fatta di tante aziende piccole e medie: non ci sono stabilimenti con migliaia e migliaia di dipendenti come trovi in altre realtà. C’è poi un’altra cosa particolare, che ho verificato personalmente: tanti vecchi padroni della mia generazione e di quella della fine della guerra erano loro stessi operai, che col tempo avevano “fatto il salto” divenendo artigiani o piccoli imprenditori. Ora, molti di loro erano stati comunisti, o comunque si consideravano tali, così come lo era, in parte, la composizione dell’associazione degli artigiani Cna. Inevitabilmente questa circostanza condizionava il loro rapporto con i propri dipendenti e con lo stesso sindacato, di cui magari avevano fatto parte quando erano loro stessi lavoratori subordinati; se a questo aggiungi un contesto politico fatto di amministrazioni locali generalmente di sinistra o progressiste, comprendi come il tutto si possa prestare a molteplici letture.”

“Ti riferisci a rischi consociativi? Cioè a una possibile commistione tra sindacato, politica e organizzazioni datoriali?
“Visto il quadro, il dubbio che l’autonomia della Fiom potesse in qualche modo risultare frenata poteva sorgere; così come che potesse essere condizionata la sua volontà conflittuale nei confronti dei datori di lavoro e del potere locale. Tuttavia, penso che non sia mai stato così, grazie anche a un ricambio generazionale a cui ho assistito tra gli anni ottanta e gli anni novanta. Molti vecchi funzionari sono stati sostituiti da delegati trenta-quarantenni molto attivi nei luoghi di lavoro, che presto hanno avuto incarichi di rilievo all’interno dell’organizzazione, mantenendo la “radicalità” di quando lavoravano in fabbrica.  Credo che la sostituzione di “burocrati” da parte di giovani “antagonisti” abbia, perlomeno per molti anni, ostacolato questa commistione. E, in generale, ho sempre avuto l’impressione che la FIOM svolgesse il suo lavoro con grande autonomia di giudizio, un’autonomia e una indipendenza che le fa onore. Del resto, il suo ruolo, e di conseguenza il nostro ruolo di avvocati del sindacato, è quello di difendere i lavoratori contro ogni forma di ingiustizia e quindi contro chiunque la metta in atto.”

Com’è il tuo personale rapporto con i funzionari sindacali di Bologna oggi?
“Questa è una domanda difficile. I miei coetanei, quelli che erano giovani negli anni ottanta, ora sono tutti in pensione e all’interno del sindacato c’è stato un naturale avvicendamento con le nuove generazioni. E lo stesso è avvenuto anche all’interno dello Studio Associato, in cui sono presenti avvocati e avvocate che vanno dai 30 ai 70 anni. Quindi, anche se mi capita sempre più spesso di incontrare funzionari che non sanno nemmeno chi sono, mi consola vedere che con i miei colleghi e le mie colleghe più giovani è rimasto quello stretto rapporto di “sinergia” dato dalla condivisione di comuni valori, ben diverso dal normale, freddo rapporto professionale che generalmente intercorre tra un cliente ed un avvocato.”

Sulla porta dello studio c’è una targa che recita Comma 22. Cosa significa?
“Comma 2 – Lavoro è dignità è il nome di una associazione che io, insieme ad altri avvocati (Mario Fezzi di Milano e Enzo Martino e Silvana Lamacchia di Torino), abbiamo costituito nel 2017. Ha come statuto, e quindi come funzione, la tutela dei lavoratori. In qualche modo coincide con gli obiettivi che si pone il sindacato, ma non è un sindacato perché è composto prevalentemente da avvocati del lavoro. Io ne sono stato presidente per i primi due mandati – e questo è il motivo per cui la sede è presso il nostro Studio – e la mia carica è stata rinnovata per ulteriori tre anni (gli ultimi, che poi passerò il testimone a qualcuno più giovane…), proprio il 18 aprile di quest’anno.”

Quanti avvocati del lavoro raccoglie l’Associazione Comma 2 e che attività ha svolto fino ad oggi?
“Ora siamo quasi 400 distribuiti su tutto il territorio nazionale, e abbiamo avuto riconoscimenti importanti. Ad esempio, facciamo parte di quelle associazioni che il Parlamento periodicamente consulta, anche per mezzo delle sue commissioni, su proposte di legge in materi di lavoro. La stessa Corte Costituzionale in due occasioni ha considerato ammissibili le osservazioni di Comma 2 (e della Cgil) dandone atto in due sentenze su alcuni elementi di incostituzionalità del Jobs Act.”

A proposito di Jobs act, c’è stato un momento nella tua carriera di giuslavorista in cui ti sei preoccupato? Un momento in cui le cose per i lavoratori si stavano mettendo male?
“Devo dire che gli ultimi vent’anni sono stati tutti caratterizzati da una progressiva riduzione delle tutele dei lavoratori. Qualcuno fa risalire il declino anche più indietro, al Pacchetto Treu. Ma complessivamente tutta la legislazione di questi decenni è andata nella direzione di voler superare le tutele previste dello Statuto dei Lavoratori degli anni 70, ad esempio cercando di rendere più flessibile e precario il mercato del lavoro. Tutta la legislazione di questo secolo è andata in quella direzione. In materia di licenziamenti abbiamo avuto, ad esempio, la legge Fornero del 2012 che ha ridotto la possibilità per i lavoratori di ottenere la reintegra; alla quale ha fatto seguito, a distanza di tre anni, il famigerato Jobs Act di Renzi del 2015. In particolare, quest’ultimo ha assestato un colpo durissimo ai diritti dei lavoratori, e non a caso la CGIL ha deciso di promuovere quattro referendum, uno dei quali si propone di abrogare integralmente proprio il decreto legislativo del Jobs Act in materia di licenziamenti. Ma non c’ stato solo il Jobs Act a farmi mettere le mani nei capelli. Pensa alla materia sui contratti a termine, che negli ultimi anni è stata modificata almeno una quindicina di volte, all’abuso del lavoro in somministrazione, alla catena di appalti e subappalti: l’effetto di tutta questa precarietà è anche lo spaventoso aumento degli infortuni, anche mortali, sul lavoro. Anche per questa ragione abbiamo pensato di costituire l’Associazione Comma 2, proprio per cercare di contrastare questa legislazione pericolosa per i lavoratori.”

“Stai tracciando un quadro legislativo assai fosco. Non ti senti di salvare proprio nulla?

“A mio avviso una piccola ma significativa inversione di tendenza si è avuta col Governo Conte 2. Pensa solo al blocco dei licenziamenti, un provvedimento legislativo rivoluzionario che credo sia stato fatto solo in Italia e che secondo me sarebbe dovuto essere maggiormente valorizzato; penso poi all’estensione universale della CIG, ma anche al Decreto Dignità, che ha provato a ridurre il ricorso al lavoro a termine senza causali e a tutelare il lavoro nelle piattaforme digitali. È stata una breve, piccola parentesi, perché poi il governo di destra ha subito “rimesso le cose a posto”.”

Torniamo al Jobs Act e quindi al referendum per abrogarlo. Mi sbaglio o i lavoratori furono vittima di un vero e proprio inganno? Renzi diceva che nuovi assunti dopo il 7 marzo 2015 avrebbero goduto di tutele crescenti e quindi degli stessi diritti dei lavoratori più anziani, ma non è andata affatto così. Cosa ne pensi?
“Il cosiddetto contratto a tutele crescenti introdotto dal Jobs Act, e applicabile agli assunti dopo il 7 marzo 2015, prevede che in caso di licenziamento illegittimo, (dico illegittimo perché c’è un giudice che dà ragione al lavoratore), e salvo eccezioni molto particolari, il lavoratore licenziato non ha più diritto ad essere reintegrato sul posto di lavoro, ma soltanto a una indennità economica. Questa indennità economica nelle intenzioni di chi lo ha scritto avrebbe dovuto avere un’applicazione automatica: due mensilità per ogni anno di lavoro svolto. Nonostante successivamente sia intervenuta la Corte Costituzionale che ha smorzato l’automatismo, è però rimasto il principio per cui il danno subìto viene quindi solo monetizzato. Per questo è importante l’iniziativa referendaria. Bisogna infatti tener presente che il numero degli assunti dopo il 7 marzo 2015 inizia ormai ad essere più alto di quello degli assunti prima di quella data. Ciò significa che oggi la maggioranza dei lavoratori a tempo indeterminato ha meno diritti e tutele di prima e che il contratto a tempo indeterminato in regime di Jobs Act si trova in una debolezza normativa che rende debole anche il lavoratore.”

Vedo affissa su una parete della tua stanza una foto con te che parli da un palco in una piazza affollata: di cosa si tratta?
“Devo confessarti che è stato un colpo di fortuna. Nel giugno 2017 la Cgil aveva indetto una grande manifestazione nazionale contro il Jobs Act, ed in particolare contro i nuovi voucher, con corteo e comizio finale in Pazza San Giovanni.  L’allora Segretaria Generale Susanna Camusso aveva proposto a un collega di Milano esperto in diritto del lavoro, Mario Fezzi, di fare uno dei pochissimi interventi programmati. Lui non voleva o non poteva, e ha proposto il mio nome, per cui mi sono trovato, quasi casualmente, a parlare dal palco davanti a decine di migliaia di persone, tra l’altro in un caldo atroce. Non nascondo che è stata una bella soddisfazione: credo che tutti i politici o sindacalisti con aspirazione di carriera farebbero carte false  per avere l’occasione di  parlare dal palco di San Giovanni, la piazza più grande di Roma, e mi fa un po’ ridere pensare come sia capitato a me.”

Ora o?ti faccio un’ultima domanda. C’è un episodio della tua lunga carriera che ti ha particolarmente colpito? Una vertenza? Una lotta a cui hai partecipato?
“Guarda, lo dico anche un po’ contro il mio interesse di avvocato; ma c’è un episodio che mi è rimasto nel cuore ed è accaduto solo qualche mese fa. Ho seguito la vicenda di un centralinista di call center licenziato per aver bestemmiato. Ecco, non è stata la mia azione legale a consentire la reintegra sul posto di lavoro, bensì lo sciopero a oltranza messo in atto da tutti i suoi colleghi. Quella prova di solidarietà mi ha davvero colpito e mi ha anche un po’ commosso. Credo che sia stata una di quelle lezioni che i lavoratori, quando vogliono, sono capaci di dare a tutti noi, avvocati compresi.”

(Gianni Bortolini)