L’ex presidente degli Stati Uniti e premio Nobel per la Pace nel 2002, Jimmy Carter, è morto all’età di 100 anni.
Lunghe file davanti alle pompe di benzina per colpa del brusco rialzo del prezzo del petrolio dopo la rivoluzione iraniana del 1979 e l’ansia per la sorte dei 52 membri nell’ambasciata americana a Teheran presi in ostaggio dagli studenti islamici che per 14 mesi tenne gli Stati Uniti col fiato sospeso: è soprattutto così che gli americani ricorderanno i suoi quattro anni alla Casa Bianca, dal 1976 al 1980.

Jimmy Carter (al centro) con il Presidente egiziano Anwar al-Sadat (a destra) e il Primo ministro israeliano Menachem Begin (foto di Bill Fitz-Patrick da Wikipedia)
Una importante iniziativa, oggi ne capiamo bene il valore nell’ambito dei conflitti arabo-israeliani, furono gli accordi di Camp David firmati dal presidente egiziano Sadat e dal primo ministro israeliano Begin il 17 settembre 1978, dopo dodici giorni di negoziati segreti a Camp David. Ancora oggi è il più duraturo trattato di pace dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Dopo la presidenza, era tornato a vivere nel suo ranch con due camere da letto. Si è sempre rifiutato di far soldi sfruttando la sua esperienza alla Casa Bianca, tenendosi sempre lontano dai consigli di amministrazione delle società o dal tenere discorsi a pagamento, attività comune tra gli ex presidenti.
Aveva compiuto 100 anni lo scorso 1 ottobre, quando disse di voler “vivere abbastanza per votare Kamala Harris”.
Oggi è giudizio comune che la presa di ostaggi a Teheran fu anche agevolata dagli intrighi dei suoi nemici, con Ronald Reagan che cercò di far ritardare il rilascio dei rapiti, rilasciati appena lui ebbe giurato come Presidente del dopo Carter.
Fu un uomo capace di adattarsi ai tempi, restando fedele a sé stesso. La seconda parte della sua vita, dopo la presidenza americana, la dedicò alle attività che non era riuscito a compiere nella prima.
In tempi più recenti, venne insignito del Nobel per la Pace nel 2002, per onorarne una vita spesa al servizio degli altri. Nella motivazione, si ricordava infatti “il suo indefesso impegno per la ricerca di soluzioni pacifiche ai conflitti internazionali, l’avanzamento della democrazia e dei diritti umani e la promozione dello sviluppo economico e sociale”.
Dopo aver lasciato la vita politica, Carter nel 1982 fondò il “Carter Center” ad Atlanta: non profit per promuovere la pace e i diritti umanitari nel mondo. Grazie all’attività del Centro, l’ex presidente, “si è impegnato in risoluzioni tese a prevenire conflitti in diversi continenti”, si legge sempre nella motivazione del Nobel. “Inoltre ha mostrato uno straordinario impegno in favore dei diritti umani, e svolto attività di osservatore in innumerevoli elezioni in tutto il mondo”.
Celebre la sua affermazione che, in molti paesi, la canzone Imagine di John Lennon gode dello stesso rispetto che viene riservato agli inni nazionali.
Un’altra non profit che aveva costituito è “Habitat for Humanity”, che edifica case per i poveri: lui stesso e la moglie andavano letteralmente a costruire case, erano carpentieri provetti.
Quando lanciò la sua campagna presidenziale nel 1975, il fratello benzinaio Billy disse ai giornalisti: “Mamma Lillian è appena entrata nei Peace Corps a 68 anni, nostra sorella Gloria è una fanatica delle Harley Davidson, l’altra sorella Ruth aspira alla santità evangelica e mio fratello si candida alla presidenza. Sono l’unico sano di mente della famiglia”.
In questi tempi così oscuri, avremmo bisogno di politici, ma prima di tutto di uomini, che sappiano guardare alla vita nei suoi valori fondamentali.
(Tiziano Conti)